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Pascucci, ovvero il Porticciolo

"Dove dormi, ti porto io" dice Gianfranco Pascucci al termine di una serata tra le più piacevoli.
Credo nei gesti, perchè i gesti sono racconti. E in questo gesto si  racchiude la sintesi della persona Pascucci Gianfranco: che è perfettamente sovrapposta al personaggio Pascucci, e al cuoco Pascucci. Messa giù così potrebbe sembrare una metafiction un po' autoreferenziale: di quando il raccontatore parla di qualcosa per parlare di sè, ma qui è giusto l'opposto. Pascucci presiede il suo Porticciolo con una integrità immanente che va dalla movimentazione delle portate, alla supervisione della sala, al disegno stesso dell'architettura gastronomica del ristorante di pesce più interessante di questo lembo di Tirreno, e probabilmente oltre.

Da principio: passi lunghi e ben distesi in una Fiumicino da gennaio pandemico che pare una qualsiasi Kamchatka da Risiko buttato via, luci gialle al sodio, strade rigate di rare auto: tranne a fianco del ristorante dove aleggiano "vetture di grossa cilindrata" come dicevano una volta ai telegiornali in bianco e nero, nelle brevi di cronaca. La lunga finestrata mostra ambienti biancheggianti e tavoli ben illuminati, e la porta si schiude sulla reception dove pare proprio che la serata senza di te non potrebbe iniziare. Bene.

Al tavolo senti di avere infinite scelte, ma rinunzi volontieri affidandoti al gioviale sommelier che sbicchiererà con levità, e alla cucina di Pascucci per la galoppata gastronomica. Lo chef si palesa, ad un tratto, preciso ed informale allo stesso tempo, e parla del sottogola di tonno. Si muove come se quel tonno l'avesse tra le mani, lo accarezza con il gesto - ancora - e ne spiega l'essenza, più che l'esecuzione. La cottura, la composizione, le sfumature, la brace. Una preparazione, un evento ancora più che un piatto, che riesce a emergere e staccarsi in una serie pur di livello abbagliante. Quel taglio è composto di tanti pezzetti di diversa consistenza, grassezza, colore, sapore. Ogni bocconcino è un viaggio, una frase, una riga. Esplode nell'assaggio e nel ricordo, e finisce di diritto nella hall of fame dei piatti memorabili.

Certo, quel tonno è solo un estratto del lessico pascucciano: che va dal trattamento in punta di penna della seppia che diventa un torrone, ai fusilli neri nel mare di plastica, al risotto verde con l'astice servito "al chiodo". Lo chef accetta il confronto: "lo preferisco così, con poco amido in giro: lascio viva la spinta acida, non mi va che s'ammolli".

La cucina di mare del Porticciolo unisce la forza teatrale del suo Deus ex Machina e una certa accessibilità, che solo un incontro superficiale potrebbe scambiare per sveltezza: in  verità ogni mossa ha cento dettagli, tra il detto e non detto, e deogratia salvifica è la distanza dalle omelie in cui sapremo anche il nome della seconda cugina acquisita del pesciaio. Nondimeno le istruzioni per l'uso sono chiare e aggiungono valore ai bocconi, come le acciaccature di un raffinato spartito. Mai stentoreo, sempre scandito, Pascucci segna il passo e marca il ritmo di una espressione ittica che va considerata un riferimento.

Ci va andato, senz'esitazione.