Home - Stefano Caffarri
Frammenti

Home > Frammenti > Frammenti di cibo > L'Alchimia, ristorante in Milano

  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano
  • L'Alchimia, ristorante in Milano

L'Alchimia, ristorante in Milano

Qualche settimana è trascorsa dalla serata “alchemica” in Milano, incastrata in un novembre assai più fresco di questo gennaio come non s’era mai visto. 

Sapendo Alberto Tasinato al timone de l’Alchimia non v’era dubbio che il ristorante godesse di una organizzazione metronomica: incontrato l’eporediese in varie delle sue precedenti vesti non potreva essere che una conferma. Dunque secondo pronostico la proposta comprensibile, il menu chiaro, gli spazi ben organizzati, il senso generale di ordine e garbo.
La double face del locale infatti - ristorante e lounge bar - guizza via linda senza incrementare d’alcunchè l’entropia nell’universo, e l’avventore ne gode: volendo può accedere ad entrambe le fattispecie, ma la visibilità è sempre larga e piena. 

Dunque acquisito il senso di sicurezza del Tasinato, tutta la curiosità volge alla cucina, in cui evoluisce Giuseppe Postorino, sangue calabrese e natali lombardi, sponda Monza, e una storia professionale brillante. E nello scorrere della sceneggiatura trovi soddisfazione di tale curiosità in preparazioni che spaziano in lungo e in largo nel paese e non solo. 

Postorino è chef di granitica solidità, con un vocabolario attraversato da riferimeti concreti e consistenti alla cucina classica e al suo palesarsi in sala: uno per tutti, vale la pena di arrendersi alla seduzione del Coniglio alla Wellington ed è presto detto perchè. Servizio impeccabile al tavolo, impiattamento “in your face” corredato con l’immancabile fondo, cottura perfetta, sapidità e armonia senza incertezze, piacevolezza del piatto completa, morso presente, morbidezza garantita. Titolo di merito per la misura nella serie degli assaggi della degustazione, che riserva al Main Course - di pesce o di carne - una posizione di vera preminenza, offrendosi come protagonista quando ancora c’è spazio e attesa negli appetiti.

Piatti scenografici ma “spessi”, con la decorazione funzionale al risultato e poca indulgenza per l’acrobazia, che invece viene praticata con continutà nelle esecuzioni, con i vertici della Lingua di vitello - maritata al fuagrà - e del cannellone “aperto” con il piccione, quasi dei pezzi di gioielleria culinaria, o le animelle: che mi porterei volontieri nell’isola deserta.

Ai dolci è appaltata la componente ludica, con "Luna": una sfera con la mousse al cioccolato caramelia e cuore di frutti esotici, guacamole dolce di avocado e latte di cocco. Il luminoso satellite nel piatto, coronamento della serata.