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Il Senso di Ghezzi per il Mart

Mart a Rovereto è simbolo di cultura, di amministrazione propositiva, di contemporaneità, di crossover. La cupola eterea, con quell'enigmatico spicchia mancante, è una esortazione alla curiosità. Entri camminando con la testa all'insù, tanto che ci vuole più di una occhiata per comprendere quale sia, tra le pesanti porte che si aprono sulla piazzetta, quella che porta alla Casa di Alfio Ghezzi, il Senso. Vien Sofia, di cui intuisci il sorriso sotto la maschera, a dire "Per di qua" e a menarti al tavolo abbellito da una tovaglietta ricamata e un funambolico origami.

È un posto, il Senso, dove non avrai a male anche se vai solo: la simpatia e la preparazione enciclopedica del giovine Maitre e le ampissime delucidazioni dei souschef che spesso portano i piatti colmeranno i vuoti, e ti lasceranno il tempo di "masticare" le molteplici sensazioni che la "Cucina del Senso" garantisce.
C'è una sola proposta, la degustazione che prende questo nome, oltre ad un percorso più breve per i frettolosi o per chi si accontenta di un estratto meno copioso.

La cifra più rilevante della Cucina del Senso è - in termini culinari - una specie di cambiamento dell'inclinazione dell'asse terrestre: sono ingfatti i vegetali che prendono il posto del protagonista sotto la luce del riflettore, e acquisiscono la nobiltà quasi del "main course" a dirla come gli angli. C'è tanto pensiero in questo sommovimento, che prende a partito i due binari di questa strada: da un lato la stretta osservanza territoriale, più di sostanza che di dogma, perchè qui si amano le cose che "sono state poco in giro" più che le ossessioni campanilistiche. Per dire, se i funghi shiitake sono coltivati da terra a cielo sui castagni delle montagne circostanti, perchè no? soprattutto se sono loro a dettare forma e sostanza con il loro poderoso fondo, soprattutto se viaggiano in compagnia di piccoli morsi di trota in tre maniere, di quelle di qui.

E via muovendosi sul sentiero dell'armonia, della coerenza spasmodica, dalle sarde di lago alla slinzega, da grano saraceno al lino, dall'asparago - profumatissimo - folgorato dai fiori d'aglio alle morchelle. La carota, il dentro e il fuori e l'intorno. L'incredibile tagliatella di sedano rapa con aglio olio e peperoncino, una palettata di sapore che colpisce le sinapsi quasi senza attraversare il palato, tanto è diritta e potente. Il burro, una confessione senza ostacoli sulla sua origine vacchesca e bovina, trionfale sul bellissimo pade di farine rustiche. L'anguilla, in combutta con il tarassaco. la pecora, spodestata da un fiore di ravanelli, e confinata in una ciotolina accanto dove giganteggia nel suo fondo, nel suo essere pecora senza redolenze ma con profumi di pecora. E la pasta? eccola, vilipesa e rinata nella sua essenza, spezzata e cotta, abbandonato il modello si affida al solo sapore, nudo.

 Pure il dessert sa di vegetale, e lavora piselli crudi: e le dolcezze vere sono tutt'attorno in quella sfoglia rigonfia e quel gelato piccolo, e nelle perline della piccola. Fuori chiara la luna, scura la via, pensi al Senso. E forse, in fondo, l'hai trovato.