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Acquada, la Casa di Sara Preceruti

Proprio ai bordi della "Movida" milanese, come ormai è d'abitudine chiamare i luoghi più meno metropolitani dove la gente s'assembra, a scopo divertimento, Sara Preceruti trasferisce il suo Acquada dalla Lomellina dove era casa, e fa Casa nei gloriosi locali già di Tano Simonato, e la fa  bianca bianca, come ad anticipare la sua luminosa idea di cucina.

Storia onusta e recente, tutta compressa dall'anagrafe ancora generosa, che conduce ad una idea di cucina che racchiude in sè le esperienza passate e le traduce in una modernità classica che resta sempre ai bordi del lezio, lontana dalle acrobazie fini a se stesse e manifesta un solida determinazione nel portare avanti il progetto pur in un habitat complesso come quello della ristorazione attuale.

"Facciamo tutto questo in due" dice Sara, al termine di una lunga serata in cui profonde ogni stilla di energia, dallo snack di apertura fino al caffè, seguita da una sala improntata alla pià vellutata cortesia. La memoria e il giuoco sono i driver di un percorso coloratissimo, in cui il senso della misura è la cifra e il garbo è il sottofondo. Nessuna esitazione nel transitare dall'uovo alla carne al vegetale al pesce, traghettando da un totem assai temibile come il vitello tonnato - in una versione di piacevolezza intensa -  all'ombrina, vergata di consistenze fragranti.

Clamoroso il personalissimo "black rose", una specie di raviolo nero nero spazzolato dalle sensazioni amaricanti e fresche di un estratto di prezzemolo, fatto seguire agli gnocchetti di semola in cui trova posto anche l'anguria.

Serata che richiede tempo e attenzione, che dona spazio e cura: merci rare, e preziose al giorno d'oggi.