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Herbe, il vegano a Reggio Emilia

Sono sempre assai curioso delle cose che non conosco. La sonnacchiosa e spesso asfittica scena gastronomica reggiana rappresenta una eccezione - strana a me stesso. La conosco poco, e quel poco mi basta per non esserne curioso. Ma sono felice che esigenze professionali mi impongano di approfondire, così super la pigrizia e - forse - il pregiudizio riguardo alla città dove trascorro la parte maggiore dei miei giorni.

Reggio Emilia: noi celti gallo-padani la chiamiamo “reggemiglia” con quell’accento rotolante che chiama “il” gnocco fritto e il “tram”, che ovunque è l’autobus. Dev’essere un misto di discendenza e trascendenza, noi che abbiamo maiali perchè proprio quelle tribù barbare - così amavamo chiamare gli stranieri barbuti - se ne servivano come dispense ambulanti, un po’ come le tartarughe sui galeoni d’oltremare.

Ecco, mi incuriosisce la nouvelle vague vegetabile nella terra dei cotechini di cui Herbe - ristorantino a due massi due da Piazza del Monte - pare essere luminoso interprete. 

Le luci soffuse, gli ambienti su due piani, l’arredo francescano e il QR code che illustra il menu con il primo salto di paradigma: niente classica suddivisione all’italica, ma un più semplice percorso per tappe tra principii, seguito, contorni e dolcezze. Puoi ordinare rapsodicamente l’uno e l’altro, e sarai accolto da sguardi gentili e brevi, precise spiegazioni, deogratia.
Ecco le orecchiette scoppiate, croccantissime, accompagnate da cime di rapa deliziosamente piccanti, ecco le mezzelune ripiene di pere e topinambur, crema di anacardi con una salsa di noci e rosmarino. Non rsisto al richiamo dall’insolita cacio e pepe, presentato con semplicità come crudista: spaghetti d’alga kelp avviluppati da una crema degli ineluttabili anacardi, in cui il sottofondo acidulo si arrampica sull’ottimo blend aromatico di tre pepi. Più consueto ma svolto con originalità il fidanzamento tra cardoncello al forno - bene - e una crema di carote variegate alle spezie. 
Patate tagliate grosse al forno, salse d’accompagno.

Carta dei vini ottima per curiosoni (quorum ego): trovo tra le altre etichette di chiaro stampo naturalista il Coste di Riavolo di San Fereolo che nel cuor mi sta, e che da queste parti è più o meno come il sacro graal.

Unico appunto: all’uscita la curiosità per la cucina verde non è affatto lenita, e mi da l’impressione di essersi virata in attrazione.