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Gilmozzi e la montagna incantata

"La ragione umana deve soltanto volere con più forza del destino, ed è il destino."
[Thomas Mann, La Montagna Incantata]

Capitolo senza opporre resistenza quando il reprobo Richard Von mi propone di scendere in gita a Cavalese, a casa Gilmozzi.
El Molin è uno dei ristoranti piu belli - nel mio limitato universo - e la cucina montana colà praticata è una delle più schiette e sincere che conosca. Andiamo.

La pietra e il legno dell'antico mulino accolgono fraternamente, il corpo di fabbrica è ricostruito con un gusto che viene di lontano, come scoprirai di lì a poco: lo chef è  anche scultore e intagliatore, ed ha mano felice nel gesto e nella pratica. Se poi l'accompagna la forza del pensiero, ecco che la ragione diventa destìno. Che forza eh, quel Thomas.

Allora dalla cucina piovono sui tavoli grandissimi dei frammenti di un mondo che ai pianeggianti è spesso precluso, tranne in questi rari momenti. Per fortuna il "pardacian" Richard Von è paziente e mi traduce quei nomi che non so, il tèmolo e il cìrmolo e tutto il resto. È il compagno di banco ideale: privo di allergie e intolleranze, alieno alle fisime alimentari, può serenamente spostare l'orizzonte da una citazione di Smogmagica alle varianti OGM del Triticum, e sa pure il dialetto reggiano. Non fosse per quel DNA da mittelmontanaro che impedisce al suo punto vita di allargarsi motu proprio come il mio, fonte di imperitura indivia.

Allora ci godiamo i tellurismi progressivi, come quel risotto sepolto sotto una specie di fallout di cenere, una via di mezzo tra una deflagrazione e una notte di sonno saporito tra lenzuola di seta nere e gialle. E tutto l'armamentario di essenze che travolgono i confini del balsamico e dell'amaro, tra freddo e godèvole.

Alessandro Gilmozzi appare per spiegare - a richiesta - senza alluvionare il tavolo di omelie infinite: ma spargento piccole scintille di un sapere d'alta quota. È bello, qui.