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L'era della conversazione

L'era della conversazione

Siamo usciti vivi ma non illesi dall’era del cinghiale bianco: la narrazione è stata - ed è ancora, per molti versi - via verità e vita per gli operatori della comunicazione, in particolar modo digitale. 

L’esplosione dello spazio a disposizione ci colpì come meteora: eravamo abituati alla paginetta dagli infiniti vincoli: di spazio, di tempo e di tempi, di specifiche tenniche, di direttori caporedattori fuochisti e linotipisti che ci dicevano cosa e come scrivere. 

Poi improvvisamente s’aprì il Gande Cratere dell’Internet in cui lo storytelling si era finalmente liberato dalla sua fame di spazio.
E allora noi deliverammo fiumi di succo di polpastrelli: raccontammo, dicemmo, narrammo.
Chiungue poteva dire qualsiasi cosa, sempre, gratis

Il trauma che ci colpì fu immediatamente successivo, non appena realizzammo che ciò che costa nulla, vale nulla. E che è la scarsità (di beni e servizi) che ne determina il valore e non solo il prezzo.
Scoprimmo che potevamo dire tutto, sempre, che in molti ne fruivano ma pochi o nessuno era disponibile a pagarlo.
Fu brutto.

Il valore creato da secoli di dinamiche editoriali - lo chiamammo “il Cartaceo” per assimilarlo ad un era geologica vecchia di milioni, il Cretaceo - era stato spazzato via dall’abbondanza.

E allora eccoci lì a pubblicare uno script tutti i giorni, e a contare i commenti che erano fitti. Raccontammo così bene il nostro ombelico - o meglio i nostri addominali scolpiti con il filtro beautify - che ci dimenticammo l’ascolto, e i commenti piano piano sparirono dai box. Perchè gli attori della comunicazione non dialogavano, ma aspettavano solo il proprio turno per parlare. Dinamica già evidente nei talk show televisivi: “la ringrazio per la domanda che mi consente di precisare…” facendo tornare così il punto alla narrazione in prima persona, sul proprio punto di vista. 

Poi arrivarono le immagini, che nemmeno più richiedevano un dialogo: sulle Reti Sociali l’alluvione di foto fotine e fotazze divenne un compulsione allo scorrimento, e lo storytelling divenne lo streaming. Dell’ascolto non v’era più traccia.

Infine, l’aspetto più deleterio dello scambio di opinioni ormai definitivamente trasolocato sulle Reti Sociali emerse con la massima definitiva: commento ergo sum. Necessario dire qualcosa, non importa cosa purchè sia cosa. Il fenomeno eruttò durante la seconda fase della pandemia globale, quando fu assassinato il buonismo a favore di una crudezza di espressione mai conosciuta nella storia dell’uomo. Scomparse le presentazioni, i convenevoli, il garbo, la digitazione sui telefonetti spogliò la lingua di ogni grazia trasformandola in una cassetta degli attrezzi da fabbro ferraio, se non da macellaro. Il cattivismo era la nuova regola.

Fu solo allora che sospinti dalla maree i cuori più sensibili tra le schiere dei comunicatori a cottimo si svegliarono e si resero conto conto che la narrazione era sul piano inclinato dell’estinzione, perchè se tutti parlano nessuno ascolta. Ed iniziarono a conversare.
La narrazione fece un passo indietro, si ritirò, si asciugò e prese una forma minima ma non minore di compendio tra poche immagini e poche parole, dove la scarsità fece di nuovo capolino come elemento di pregio, e la ricchezza prese la forma dell’ascolto. 

Le voci esterne catturate dall’abbraccio avvolgente dell’ascolto si ammorbidirono, si fecero attente, e ricominciarono a prestare attenzione agli stimoli, alle cose dette e non raramente anche a quelle non dette. La sensibilità era ancora glabra, fitta di pregiudizi e di concetti espressi a toni bianchi e neri: ma i follower acquistarono la dignità di persone.

Non tutti lo capirono, ma chi fu folgorato da quest’idea si librò.
Meditate gente: ma soprattutto conversate, gente, conversate.