In un universo sempre più visuale e visivo l'immagine colpisce, urta, incuriosisce. A volte parla: ma il compito del raccontare - lo storytelling, dicono a Milano e tutt'attorno - è lasciato alle parole.

Le parole che possono essere un idioma specifico di un setttore merceologico, a volte utile ma impervio, oppure un vero e proprio strumento di passaggio delle informazioni necessarie a costruire una fotografia questa volta tridimensionale della propria attività.

Poi è arrivata l'Internet, che ha sconvolto tutto: e la "bella pagina" è diventata la pagina che piaceva a Gùgol, e molti giovani scrittori sono morti d'inedia a favore di testi costruiti con furia meccanicista. Poi sono arrivati i Social Network che hanno travolto tutto con altre forme espressive, cannibalizzando se stessi ad ogni nuova release e lasciando i lavoratori della parola in preda al bipolarismo.
Poi sono arrivate le intelligenze artificiali, e poi.

Per districarsi in questo bailamme l'azienda avveduta si avvale di un team di professionisti specializzati che producono parole: parole che non sono adatte per tutte le stagioni ma per uno scopo specifico. Raccontare il ragù alla napoletana su Instagram richiede un linguaggio diverso di una pagina dedica ad un vino fatto nelle anfore con un dimenticato vitigno autctono. Così come un prodotto agroalimentare dev'essere descritto sul catalogo e-comm in modo differente dalla piccola produzione di mieli del maso alpino sulla fanpage Facebook

Per tutto questo ci siamo noi, che lo facciamo da vent'anni.