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Spaghettonissimi Cavalieri all'aceto

Uno degli incontri "segnanti" del mio ormai non più breve peregrinare tra cibi e vini nell Stivale è stato con Benedetto Cavalieri, pastaio in Maglie. Ricordo il profumo che pervadeva l'ufizio completamente ingombro di ribe cartacee et alia, il calore delle stanze della pasta, le macchine, e quel gioiello d'oreficeria pastaia dell'essicatore in legno: vecchio di decinaia e decinaia d'anni, ma ancora insuperato per efficienza. "Lo usiamo solo per le ruote pazze, che solo qui vengono come vogliamo che vengano". Le ruote pazze sono un assurdo tecnico, che il genio del pastaio rende plausibile. Altrove sempre troppo molli o troppo dure, qui hanno nella varieganza la loro forza. "Ci sono tre spessori diversi" continuava con la sua voce profonda e convincente.

Anche gli spaghettoni contengono una certa cifra di assurdità: il calibro fuori scala, la lunghezza doppia, tripla, il tempo di cottura infinito. Li uso per questo piatto fatto di niente e quindi di tutto.

Ho fatto andare gli spaghettoni per 15 in poca acqua poco salata. Il problema è pazientare i due o tre minuti che occorrono per farli piegare affinchè restino all'interno della pentola: poco male. Al termine li ho passati in una ampia padella e ho fatto ritirare uno o due mestoli d'acqua di cottura mentre aggiungevo la cenere di cipolla (si ottiene lasciando le foglie di cipolla in forno a 200° fino a quando non sono completamente essiccate ed annerite).

Al finale - occorrono ancora 5 minuti - ho aggiunto un cucchiaino di burro, una robusta spruzzata d'aceto di miele da mieli Thun, un cucchiaio di colatura di acciughe del Cantabrico. Non è la "nostra" conosciuta colatura di alici di Cetara, ma un prodotto sperimentale di provenienza iberica.

Tirati che furno e belli lucidi, ho ripassato gli spaghetti nel piatto con la loro amidacea cremina e li ho terminati con un pizzico di polvere di spinaci e due foglioline di menta disidratata. Li ho serviti con i chopstick di bamboo.