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L'essenziale è essere invisibile.

L'essenziale è essere invisibile.

Matù, ha iniziato l'altra sera mio figlio. 

Quando inizia con “matù” mi preoccupo appena meno di quando dice mamma devo dirti una cosa ma promettimi che non ti arrabbi troppo. Ma io, cosa? gli ho chiesto, cercando, peraltro con scarsi risultati, di catturarlo per sottoporlo all'incredibile tortura della doccia. 

Ma tu, ha continuato, se potessi avere un superpotere, solo uno, che superpotere sceglieresti?

Vorrei avere le braccia della dea Khalì, per arrivare ovunque e fare le diciotto cose in contemporanea che sono imperativo categorico kantiano delle mamme libere professioniste insicure croniche, avrei voluto rispondergli, vorrei il dono dell'ubiquità per spatafasciarmi con te a guardare i cartoni E andare a uno dei seimila eventi a settimana che richiederebbero e meriterebbero una copertura live sui canali social, o anche solo l'estetista, il supermercato, il dentista, un po' di palestra, quelle lezioni di tango rimandate ormai da mesi in attesa di un mese più tranquillo che arriverà forse il 36 maggembre o il 42 lugliobre. 

Poi ho capito, arraffandolo per il cappuccio della felpa e chiudendolo in doccia mentre approfittavo per svuotare una lavatrice e riempirla subito dopo. 

Voglio l'invisibilità.

Per un social media manager, content creator, editor, writer, per una/o che come noi dell'agenzia Caffarri cura su Facebook, Instagram & Co le pagine e i profili di chef, ristoratori, produttori, vignaiuoli e altre realtà, più o meno strutturate, nel mondo dell'enogastronomia, il vero superpotere è l'invisibilità.

É un po' un paradosso, se vogliamo, ma è così: non facciamo bene il nostro lavoro se si percepisce (troppo) la nostra presenza. Dobbiamo diventare gli occhi, la voce, la pancia del nostro committente. Dobbiamo parlare la sua lingua, la lingua dei suoi amici, dei suoi clienti, dei suoi Ospiti. E insieme la nostra, per educare senza essere didascalici, per intrattenere senza essere giullari, per vendere senza essere piazzisti. 

Si lavora per sottrazione, perché se è vero che il giocatore lo vedi dal coraggio, dall'altruismo e dalla fantasia, altrettanto innegabile che occorre costruirci sopra una canzone, trovare gli accordi giusti, raccoglierne le parole e incastrarle dentro un racconto vivo, che si muove e cresce. 

Prima, molto prima di iniziare a scrivere, si ascolta. Si annusa. Si assaggia, si respira quell'aria unica di un ristorante, di una cantina, di un produttore. Di un pastificio, di un negozio, di un bar. Si scattano fotografie, tante. Se ne scartano, appena meno. Scrivere viene dopo, anche se è un dopo che arriva in fretta, e cresce insieme col tempo, con il diapason dell'amore per il cibo e il vino a unire le note in una nuova armonia. 

Ma allora, dite voi, non parlo davvero con lo chef? Non è davvero lui che scrive? Lo è, e insieme c'è spesso un gruppo di persone che ascolta, traduce e non tradisce, esalta, riordina, e racconta. E non si vede. 

Come gli anni alla sbarra di una danzatrice, leggiadria eterea a dissimulare muscoli di acciaio. 
Invisibili.

E poi succede che escono cose, e avvengono reazioni, e ti accorgi che tutti quelli che stanno leggendo quel contenuto lo sentono, che viene dal cuore dello chef, del patron, dell'imprenditore.: noi abbiamo fatto poco più che battere tasti sui nostri computer portatili, e premere il pulsante della macchina fotografica al momento giusto, con il punto di vista giusto, e la luce giusta. 

Un superpotere, bambino mio, a volte mi accade di averlo già: l'invisibilità*

E tu, lettore e lettrice, quale superpotere vorresti, se potessi scegliere?

(* oltre naturalmente a quello di riuscire infallibilmente sempre a farti fare la doccia, amoredellamamma).